La Puglia, con i suoi 311.067 ettari di superficie biologica certificata, pari al 23,9% della Sau regionale, partecipa per una buona fetta (12,7%) alla performance biologica nazionale. Le sue 10.455 aziende biologiche (5,4% del totale regionale) rappresentano una delle reti ecologiche più strutturate ed efficienti d’Italia, sia in termini di presidio ambientale e di biodiversità che in termini di modello culturale agro-ecologico. Non a caso la “Cura della casa comune e la civiltà della terra” sono il tema conduttore della giornata di studi per una società giusta e solidale proposta dal Movimento Cristiano Lavoratori della Puglia e da Italia Bio che si è intestata l’aspetto seminariale con un focus sul vino biologico italiano e le sue potenzialità commerciali.
Niente di più appropriato che discutere di nuovi paradigmi possibili a partire dai punti di forza del sistema Italia collocata all’interno di un mondo, quello occidentale, che si dice folgorato dal sacro fuoco della sostenibilità ambientale e dal contrasto alle emergenze ambientali e poi dimostra nei fatti di essere “timoroso” e contraddittorio.
Il sistema Italia del bio, in tutto questo, mostra coraggio e coerenza. Il biologico italiano infatti continua a crescere, raggiungendo, alla fine del 2023, quasi 2,5 milioni di ettari pari al 19,8% della Sau nazionale, mantenendo un trend di crescita pressoché inarrestabile con un +43% dal 2014 al 2023. Cosa che ci fa apparire molto prossimo l’obiettivo 2030 di conversione in biologico di almeno il 25% della Sau a livello nazionale ed europeo. Si tratta di traguardo di cui, come italiani, potremmo già dirci soddisfatti e a cui tutte le regioni partecipano attivamente, anche se il merito principale va riconosciuto alle sei grandi regioni del Sud che da sole totalizzano il 57,9% della Sau bio nazionale.
Di queste Sicilia, Puglia, Calabria e Campania, da sole rappresentano ben il 41,7%. Come dire che il Mezzogiorno d’Italia costituisce di fatto la più importante macro-area biologica del mondo contribuendo concretamente, e oltre ogni retorica, agli obiettivi di sostenibilità generale del Paese e del pianeta. Da qui discenderebbe la necessità di considerare i rapporti tra le regioni e la cultura che queste rappresentano in termini di solidarietà e collaborazione piuttosto che di altri discutibili parametri. Soprattutto oggi che, come non mai, tutte le funzioni – ecologiche, economiche e sociali – sono interconnesse, le buone opportunità andrebbero valorizzate con coraggio e determinazione.
È il caso della legge siciliana sull’“agroecologia”, prima in tutta Europa, approvata dal Parlamento siciliano nel luglio 2021 con una maggioranza bipartisan, che introduce un sistema di norme e di premialità atte ad orientare lo sviluppo dell’agricoltura nella direzione della sua qualificazione i termini ambientali, secondo i riferimento ai criteri di agro-ecologia recepiti a livello europeo. La legge, grazie al decreto di questo gennaio, coraggiosamente emesso dall’Assessorato agricoltura, diventa operativa, ma rimane monca di due norme dirette a tutelare l’ambiente e la salute umana, originariamente proposte e subito impugnate da Roma.
La prima prevedeva il divieto di uso di biocidi diversi da quelli consentiti in agricoltura biologica lungo i bordi di tutte le strade pubbliche e lungo i percorsi ferroviari e in qualsiasi altro luogo pubblico non destinato ad attività agricola. La seconda prevedeva l’obbligo della certificazione di analisi multiresiduale a dimostrazione dell’assenza di agrofarmaci o della loro presenza entro i limiti consentiti, per le merci in ingresso nella regione. L’impugnativa dell’allora governo centrale, sfociata in una sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittima l’applicazione dei suddetti provvedimenti, dimostra quanto il concetto di “civiltà della terra” sia ancora un’eccezione teorica di una minoranza illuminata che contrasta con la reale volontà della politica e dei poteri delle lobby e forse ne smaschera le reali intenzioni.
Rimane il valore simbolico e generativo della legge che introduce di fatto un precedente di grande valore. Soprattutto per la sua capacità di proporre il modello agroecologico come linea di tendenza verso un approccio olistico all’agricoltura che riconosca all’agricoltore biologico le sue funzioni di produttore di cibo per la felicità dell’uomo e di protagonista dell’equilibrio del rapporto tra uomo e natura. Da parte nostra rimaniamo però convinti che l’agricoltura biologica rimane comunque il presupposto necessario e la pre-condizione di ingresso per un’agricoltura che, oltre alla produzione di cibo e servizi di tipo sociale, sappia costituire un nuovo paradigma generale di società orientata ai bisogni dell’uomo prima che del mercato, garante di un sistema di utilizzazione responsabile delle risorse agricole e ambientali imperniato sul concetto di “Civiltà della terra”.