La narrazione corrente vuole che i “cibi senza terra” come la farina di grilli, lo “sciroppo di larve”, la carne senza carne e ora il formaggio senza latte, possano contribuire a salvare l’ambiente, come dire, quasi per come “già avviene” con la cosiddetta “intelligenza artificiale”.
Anche se mi è difficile crederlo, di più mi preoccupa il fatto che il vino, seppure biologico, rischia di non potere più contribuire a facilitare la digestione di tutti i “temerari” che comunque vorranno cimentarsi nel consumo di tali diavolerie.
Mi riferisco al nuovo documento della Commissione Europea che prefigura la possibilità di introdurre la cosiddetta “etichetta sanitaria” per le bevande alcoliche, tra cui il vino appunto, e all’ipotesi di introdurre una tassa per scoraggiarne il consumo. Tutto ciò sulla base del principio che l’alcol nuoce alla salute. Eppure basta interrogare uno dei tanti motori di ricerca circa gli ingredienti che maggiormente favoriscono l’insorgenza di tumori, per scoprire una lista di almeno dieci alimenti in cui il vino e le bevande alcoliche sono solo all’ottavo posto e precisamente dopo: carni rosse e lavorate, insaccati, alimenti fritti, zuccheri raffinati, grassi idrogenati, alimenti ultra-processati, formaggi grassi e finalmente le bevande alcoliche (ma solo se consumate in eccesso), e per ultimo carne di maiale e dolciumi in generale.
Eppure non ci sembra che sui primi otto alimenti siano stati previsti analoghi e significativi interventi della Commissione per contenerne il consumo. Per non parlare poi dei residui nel cibo dei centinaia di principi attivi (fitofarmaci e biocidi) autorizzati in agricoltura convenzionale, di cui il Ministero della Salute regola l’uso, e di cui si trova normalmente traccia, sia pur nei limiti di legge, in quasi tutti i cibi non biologici che quotidianamente consumiamo. Incluso il glifosate di cui si è prorogato l’uso in Europa e la stessa anidride solforosa aggiunta che, utilizzata nelle varie fasi della vinificazione (e con maggiore limitazioni anche nei vini biologici), alla fine ci ritroviamo nel calice.
Il provvedimento sul vino sembra svelare la visione europea che si concentra ossessivamente sul principio che il cibo non per forza deve provenire dall’agricoltura, cioè dalla terra. Che la funzione dell’agricoltore, dell’allevatore, del viticoltore non sono necessarie alla generazione del processo di produzione del cibo. Che questi, anzi, sono protagonisti negativi nella storia dell’umanità perché artefici di un processo che produce impatto ambientale e consumo di risorse. Soggetti di cui si potrebbe fare a meno, tanto da potere essere sostituiti dalle batterie di produzione industriale del cibo sintetico che dovrà magari mantenere la sua somiglianza con il cibo “naturale” solo sino a quando rimarrà il ricordo di esso, per poi cambiare anche forma ed estetica non appena nelle nuove generazioni verrà meno il ricordo delle mucche al pascolo, degli animali da cortile e dei vigneti di alta collina che fanno del paesaggio italiano ed europeo un’eccellenza universale.
L’attacco al vino, portato avanti brandendo la spada della salute, è soprattutto un attacco ideologico alla funzione sociale e salvifica dell’agricoltura che, invece, nella sua espressione biologica, sostenibile e conviviale può concretamente costituire il sicuro deterrente al degrado ambientale e alla liquefazione della cultura e della civiltà della terra con tutto il carico di valori sociali di cui è portatrice. Non sappiamo a cosa si ispira la politica europea. Di certo noi ci ispiriamo al concetto di Gea, la dea che per gli antichi greci simboleggiava la terra e più precisamente, la terra-madre, la terra che concepisce e prolifica, che custodisce con la ricchezza della sua biodiversità funzionale e coltivata i segreti del successo della sua armonia. Questo il senso dell’impegno di ItaliaBio che in ogni possibile occasione celebra la performance ambientale dell’agricoltura biologica e la responsabilità dei consumi che in essa è connaturata.
di Lillo Alaimo Di Loro, presidente di Italia Bio