Il dietro front sul contenimento dell’uso dei fitofarmaci mostra il vero volto dell’Ue e non favorisce i veri agricoltori. Italia Bio: garantire reddito e dignità alle piccole e medie aziende agricole per un Green Deal senza retorica
A quanti sostengono che le ragioni delle tante anime della “protesta dei trattori” non siano del tutto chiare, confuse o peggio dei pretenziosi capricci con dietrologia populista, rispondo senza indugio che il principale compito degli agricoltori, da sempre, è quello di produrre cibo sano, nel rispetto della natura e dell’umanità di cui soddisfa il bisogno alimentare quotidiano e non di spiegare le ragioni di nulla. La richiesta dei contadini oggi e nei secoli passati è sempre stata la stessa: “pane e lavoro”, cioè reddito e dignità.
Oggi come allora, la risposta non risiede nella disponibilità dei mezzi tecnici né nelle alte rese, ma nelle condizioni di giustizia sociale dei popoli.
Siamo stati felici al tempo della zappa e dell’aratro a chiodo, delle rotazioni e della biodiversità coltivata, con i grani antichi a taglia alta che consentivano raccolti abbondanti e di grande pregio.
Siamo infelici ora ad inseguire le alte rese e il prezzo di mercato con trattori milionari che sfilano nelle strade, concimi chimici e fitofarmaci. Siamo infelici perché oppressi da un sistema produttivo che ci rende schiavi dei “padroni del vapore” e dipendenti dalle sovvenzioni della Pac e dalle decisioni ondivaghe della politica europea sempre più piegata alle logiche del potere economico.
Le proteste degli agricoltori hanno motivazioni strutturali ed esprimono il disagio della marginalizzazione economica e della estromissione dal ruolo di custode del territorio.
Non è togliendo i limiti all’uso dei fitofarmaci che l’Ue può pensare di risolvere i problemi dell’agricoltura. Bisogna piuttosto garantire il reddito degli agricoltori proteggendo il mercato europeo – la più grande area di libero scambio del blocco occidentale con i suoi 474 milioni di abitanti – dalla concorrenza sleale dei Paesi Terzi operata grazie agli accordi bilaterali in deroga.
Nel medio e lungo periodo bisogna rimodulare il rapporto tra aree urbane e aree rurali, per evitare la concentrazione della popolazione nei centri metropolitani che richiedono volumi crescenti di cibo in aree troppo distanti dai luoghi di produzione, fermare l’esodo rurale e rendere più attrattivi i territori soprattutto ai giovani che devono ritornare protagonisti della loro storia.
Per fare questo, le Comunità locali, le Regioni e i Paesi membri dell’Ue devono riappropriarsi della loro sovranità per concertare con i propri agricoltori le migliori scelte possibili per il bene dell’agricoltura nell’interesse del territorio e dei consumatori.
Secondo la visione di Italia Bio, la conversione al biologico del 25% della Sau europea entro il 2030 rimane un obiettivo fondamentale e non derogabile. Anzi è un punto di partenza verso una conversione pressoché totale al biologico del sistema produttivo europeo, previo l’azzeramento dell’uso dei veleni in agricoltura. Ma questo non deve diventare uno strumento di ricatto o di contrattazione tra la politica europea e la produzione agricola.
La gran parte della struttura produttiva europea è costituita da aziende di piccole e medie dimensioni. Il 65% delle aziende ha, infatti, una superficie totale inferiore a 5 ettari, il 28 % tra 5 e 50 e solo il 7% maggiore di 50. In altre parole in Europa c’è un prevalente interesse da parte dei veri agricoltori ad incentivare un percorso di conversione biologica dell’agricoltura e dell’economia, in cui i contadini siano di nuovo protagonisti e le produzioni siano rivolte prevalentemente al mercato di prossimità ed interno, nei vari livelli territoriali. Solo in questo modo si potrà soddisfare la domanda europea di cibi sani e climaticamente performanti.
Per questo ribadiamo la necessità di valorizzare il grande potenziale di mercato costituito dal circuito delle mense scolastiche e degli acquisti pubblici in generale, di incentivare i meccanismi della filiera corta che permettono di spostare sull’anello debole della filiera (l’agricoltore) il plusvalore tra prezzo alla produzione e prezzo al consumo.
È da rivedere l’impianto del Farm to Fork nella direzione del concreto interesse della salute dell’uomo e dell’ambiente, mettendo al bando definitivamente concetti come “cibo sintetico”, farina di grilli, Tea (leggi Ogm) ed altre diavolerie. Il rispetto per la tradizione e per la dignità del contadino italiano ed europeo, naturalmente vocato all’agricoltura biologica (di fatto adottata dappertutto fino all’arrivo dei prodotti di sintesi) è assolutamente incompatibile con ogni tentativo di dimostrare che il cibo che nutre i popoli e li mantiene sani possa essere prodotto fuori dalle azienda agricola, nei freddi “bioreattori” degli stabilimenti industriali.
Con le recenti aperture ai cibi sintetici, la deroga all’uso del glifosato, il via libera alle Tea e per ultimo la revoca dell’impegno a contenere l’uso dei fitofarmaci, la politica europea ha definitivamente mostrato il suo vero volto e il disegno di un piano agricolo che guarda ad un orizzonte iper-industriale e tecnologico, governato dalle lobby della chimica, delle biotecnologie e delle royalty sui semi, dove il ruolo dei contadini, custodi dei sistemi ambientali e della civiltà della terra, diventa sempre più marginale.
L’agricoltore europeo oggi subisce regole in gran parte parametrate sui i grandi complessi agro-industriali, che ben poco hanno a che fare con l’agricoltura e il mondo rurale. Un carico di adempimenti burocratici e di costi di beni e servizi, necessari al processo produttivo, che rendono la gestione della piccola azienda anti-economica quando si confronta con l’offerta dei trust multinazionali dell’”industria del cibo”.
La visione di una nuova agricoltura dei popoli europei si dovrebbe semplicemente basare sul ruolo protagonista di quel 93% di aziende piccole e medie dimensioni che con orgoglio gestiscono i 175 milioni di ettari della Sau europea di cui circa 14 milioni già condotti in biologico. Queste aziende, che costituiscono di già la rete rurale più efficiente del pianeta, non avrebbero nessun bisogno delle 350 mila tonnellate di principi attivi di fitofarmaci che ogni anno si consumano in Europa avvelenandone il cibo, tanto meno di buona parte degli 11,2 milioni di tonnellate di concimi chimici, in prevalenza nitrati, venduti in Europa nel 2020. Un valore commerciale che rappresenta sostanzialmente un costo netto per le tasche degli agricoltori, oltre che un grave danno per la biodiversità e per il sistema ecologico da cui un’agricoltura responsabile e sostenibile trae la sua forza. A chi giova quindi la chimica in agricoltura?. Non certo ai veri agricoltori europei!
L’agricoltura è “il divino alito della terra” per dirla con Plinio, e allora mi si spieghi di cosa è colpevole il contadino che di questa azione divina è virtuoso sacerdote. Quale interesse ha il contadino, quello vero, a stravolgere gli ecosistemi, quando sa bene che è nella semplicità delle sue azioni e nella parsimonia dei mezzi di produzione utilizzati che trova successo la sua attività?
Il bravo commerciante, si diceva una volta, non è tanto chi sa vendere, ma chi sa comprare. Ne è dimostrazione il grande panorama delle aziende biologiche italiane ed europee, che hanno intrapreso il modello virtuoso dell’approccio olistico alla produzione agricola dicendo no a concimi chimici e fitofarmaci e presidi di sintesi in genere.
Viva l’agricoltura e viva i contadini responsabili. E se la zappa può renderci ancora felici, viva la zappa!
Lillo Alaimo Di Loro